L’ascolto testimoniale in audizione protetta di bambini ed adolescenti coinvolti in presunte situazioni di violenza ed abuso sessuale è una delle attività che, fatta salva l’accoglienza residenziale, impegna maggiormente il Centro specialistico della Regione Calabria per la cura e la protezione dell’infanzia e dell’adolescenza “La Casa di Nilla”. Dalla sua fondazione nel 2007 ad oggi, il Centro ha collaborato con numerose Autorità giudiziarie nell’ascolto di 173 minorenni.
La delicatezza di questo tipo di intervento necessita di rigore sia nella preparazione teorica e tecnica degli operatori che nell’organizzazione di spazi e strumenti idonei all’ascolto. La metodologia operativa, inoltre, continua ad affinarsi negli anni, attraverso l’esperienza, l’aggiornamento professionale ed il confronto con esperti di livello nazionale ed internazionale intervenuti nelle varie edizioni dei Seminari di Studi per la Tutela dell’Infanzia e dell’Adolescenza organizzati dal Centro stesso. Tuttavia, non è affatto scontato stabilire quali metodiche psicoforensi adottare, tenuto conto che ogni audizione presenta proprie peculiarità che necessitano di accorgimenti specifici per garantire sia i principi di legalità, che quelli di tutela morale dei minori coinvolti.
Il codice di procedura penale non specifica le prassi da seguire durante l’audizione del minore. L’articolo 498, comma 4, del c.p.p., infatti, non può ritenersi sufficiente a stabilire cosa e come si dovrebbe fare in caso di “esame testimoniale del minorenne”. Questo fatto dà adito a prassi diverse e multiformi.
La metodologia riportata in questo quaderno si basa sul rispetto dei principi e dei criteri psicoforensi in tema di testimonianza minorile, codificati dalla letteratura specialistica e sperimentati sul campo attraverso la collaborazione con la magistratura in diversi casi di presunti maltrattamenti o violenze sessuali contro minorenni.
La tendenza di molte Autorità giudiziarie è, però, spesso quella di attribuire un ruolo residuale al setting dell’ascolto ed all’esperto. Quest’ultimo, non di rado, viene limitato ad una non meglio precisata “assistenza psicologica” al teste minorenne durante l’intervista. Frequentemente, i bambini o gli adolescenti vengono ascoltati in ambiente giudiziario direttamente dal magistrato, affiancato dall’esperto che si limita ad “assistere” e ad intervenire se interpellato. Tuttavia, una prassi in cui non si tenga conto delle specificità del minore (età, livello cognitivo, funzionamento mnestico, capacità di espressione e comprensione linguistica, complessità dei fatti, aderenza alla realtà, stato emotivo, suggestionabilità, effetto di contaminazioni, ecc.)1, espone l’intera audizione al rischio di pregiudizio metodologico a scapito del minore, ma anche dell’indagato.
L’improvvisazione induce tutti a commettere errori, spesso irrimediabili, anche se supportati da una lunga esperienza. Come sostiene Mazzoni (2011) riferendosi alle cattive prassi nell’ascolto testimoniale di minorenni: “talvolta, un’esperienza trentennale può semplicemente rappresentare trent’anni in cui si compiono sempre gli stessi errori”.
Nonostante diverse sentenze della Corte suprema ed una quantità considerevole di letteratura scientifica sull’argomento, ci si ritrova ancora a discutere su quali debbano essere le best practices dell’audizione protetta. L’esperienza de La Casa di Nilla ha tuttavia rilevato come, davanti ad una buona organizzazione strutturale e ad una metodologia protesa alla tutela degli interessi processuali di tutte le parti, anche i magistrati e gli avvocati più scettici si convincano dell’utilità di seguire le prassi suggerite in questo lavoro. Ciò non toglie che una maggiore chiarezza normativa sul ruolo e sulle funzioni dell’esperto incaricato dall’Autorità giudiziaria ad ascoltare il minore, potrebbe produrre una metodologia ancor più condivisibile.