Con “audizione protetta”, si intende l’ascolto testimoniale di un minore presunta vittima di violenza sessuale o di maltrattamento durante l’incidente probatorio, che può essere richiesto nel corso delle indagini preliminari dalla persona offesa o dall’indagato. L’incidente probatorio «rappresenta un’assunzione anticipata di una prova (art. 392 c.p.p.), quando vi siano ragioni di urgenza o ricorra il rischio di pregiudizio della prova, se rinviata alla fase naturale del dibattimento» (Cirio et al., 2012).
La tendenza di molte Autorità Giudiziarie è però spesso quella di attribuire un ruolo residuale al setting dell’ascolto ed all’esperto. Quest’ultimo, non di rado, viene limitato ad una non meglio precisata “assistenza psicologica” al teste minorenne durante la fase di escussione. Frequentemente, infatti, i bambini o gli adolescenti vengono ascoltati in ambiente giudiziario direttamente dal magistrato, affiancato dall’esperto che si limita ad “assistere” e ad intervenire se interpellato. Tuttavia, una prassi in cui non si tenga conto delle specificità del minore, (età, livello cognitivo, funzionamento mnestico, capacità di espressione e comprensione linguistica e della complessità dei fatti, aderenza alla realtà, stato emotivo, suggestionabilità, effetto di contaminazioni, ecc.)[1] espone al rischio di pregiudizio metodologico a danno dell’intera audizione, compreso il minore e l’indagato. L’improvvisazione induce tutti a commettere errori, spesso irrimediabili, anche se supportati da una lunga esperienza. Come sostiene Mazzoni (2011) riferendosi alle cattive prassi nell’ascolto testimoniale di minorenni: «talvolta, un’esperienza trentennale può semplicemente rappresentare trent’anni in cui si compiono sempre gli stessi errori».
Al riguardo la giurisprudenza ha chiarito che i minori possono essere dichiarati attendibili se lasciati liberi di raccontare, ma diventano altamente malleabili in presenza di suggestioni indotte. I minori infatti, tendono a conformarsi alle aspettative dei loro interlocutori. Chi interroga deve tener presente la particolare vulnerabilità psichica dei minori durante le deposizioni testimoniali tanto che lo stesso codice di procedura penale vieta di porre domande che possono nuocere alla sincerità delle risposte o domande suggestiva e cioè che possano suggerire le risposte.
Con questa sentenza, la Corte di Cassazione ha ricordato il principio per cui, in materia di reati sessuali su minori in tenera età, il diniego, da parte del magistrato procedente, di disporre una perizia finalizzata a valutare l’adesione della narrazione alla realtà, non è legittimo, «in dipendenza di eventuali elaborazioni fantasiose proprie dell’età o della struttura personologica del minore». La giovinezza della persona offesa, infatti, può rendere complicata la ricostruzione delle circostanze e dei fatti che è necessaria per una testimonianza.
[1] Per un approfondimento vedere Cap. 10 “La memoria del testimone debole” in A. Forza (2010).